Il Mahabharata si ripropone di comunicare realtà del più alto livello, che trascendono i limiti della comprensione logico-razionale. La tecnica è quella della narrazione e l’ostacolo più arduo è il doversi riferire a un pubblico caratterizzato dalla più ampia differenziazione, non solo e non tanto culturale, quanto soprattutto evolutiva. Ad ogni livello evolutivo corrisponde una differente capacità deduttiva e immaginativa, e le comprensioni di ciascuno dipendono dalle proiezioni che si fanno su ciò che è stato ascoltato.
Generalmente le persone sono molto attaccate alle loro impressioni o sensazioni e raramente sono disposte a riflettere con sufficiente distacco su ciò che appercepiscono. Si dovrebbero invece accampionare queste comprensioni superficiali, senza far dipendere tout court da esse il nostro giudizio.
Il Mahabharata conosce molto bene le dinamiche della psiche umana e i limiti della percezione sensoriale, e per quello ci parla delle grandi passioni che pur apparentemente dispiegandosi nei luoghi della narrazione, prima di tutto si agitano nell’arena della psiche, proprio come accade nelle nostre vite. Attraverso il linguaggio di chi vive nel mondo, si dispiega una narrazione incalzante che costantemente si rinnova, ma che conserva sempre il fil rouge della prospettiva evolutiva. Lasciandoci trasportare dalla più grande opera dell’umanità, gli attaccamenti che parevano così decisivi, si rivelano per quello che sono: nient’altro che vanità.
Lettura e commento di Vana Parva (Il Libro degli Insegnamenti della Selva) capp. 138-148